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Dietro il Forno di Piron




Friday, July 07, 2006

il bambino senza un venerdi

C'era una volta un bambino senza un venerdì. Lui neppure lo sapeva fino al giorno in cui sentì una donna mormorare sottovoce a un'amica, mentre lui passava: - A quel bambino manca un venerdì. Nel solaio di casa, dove spesso si rifugiava per giocare in pace, dedicò tutto il pomeriggio a tentare di capire quando e in quale luogo aveva perduto il venerdì che gli mancava. Purtroppo non riusciva ad andare molto indietro con la memoria, al massimo di due o tre settimane, e in questo pezzetto di tempo i venerdì risultavano al loro posto, o se ne sarebbe accorto.
Venerdì scorso, per esempio, era stato con la mamma a comprare le scarpe nuove. Non che fosse troppo preoccupato; in fondo la mancanza di un venerdì non faceva male: sarebbe stato peggio se gli fosse mancato il fiato, o un dito. Eppure lo sguardo di quella donna in piazza lo aveva ferito. Se la gente capiva che gli mancava un venerdì, voleva dire che si vedeva. Andò a trovare Francesca, che abitava nel medesimo palazzo, ed era più vecchia di un anno. Lo fece entrare nella sua stanza dove stava guardando la televisione. Il bambino si mise tra lei e lo schermo, e le domandò: - Guardami bene: cosa mi manca? Francesca era una bambina molto seria e giudiziosa, lo dicevano tutti, e lo osservò con scrupolo dalla testa ai piedi. Gli girò attorno, e finalmente rispose: - Mi sembri intero, come gli altri giorni. - Fuorché il venerdì! Siccome Francesca ancora non capiva, spiegò: - Ho paura che mi manchi un venerdì. Francesca si diede una grande e sonora pacca sulla fronte ed esclamò: - Hai ragione, anch 'io ho sentito dire che ti manca un venerdì! E aggiunse: - Deve essere per questo che la mamma non è molto contenta quando gioco con te. Poverino, non deve essere mica tanto facile vivere senza un venerdì. - lo veramente non ci avevo fatto caso, fino ad oggi... Ora anche Francesca lo guardava come se vedesse il buco lasciato dal venerdì; però seguitava a essere lo sguardo di una che gli voleva bene. La bambina recitò: - Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, sabato, domenica... non è bella una settimana detta così.
- Cosa posso fare? - Mi sembra semplice. Come ti sei comportato la volta che hai perduto la palla tra l'erba alta dell'argine? - L 'ho cercata e ritrovata... ci è voluto un po' per capire che era rotolata giù, nel fosso... - Farai la medesima cosa, e io ti darò una mano. - Cercheremo il venerdì nel fosso? - Non so dove, ma lo ritroveremo. Felice, il bambino scoppiò a ridere: una delle sue grandi risate che sembravano nascergli dall'anima, inarrestabili e fragorose; una prova, secondo la gente, che gli mancava un venerdì. Era autunno, e il primo posto dove Francesca e il bambino senza un venerdì andarono a cercare fu il Paese della Fumana. Ci entrarono di mattina presto, nel prato di fianco alla chiesa di San Francesco. Dentro la nebbia non ci si vedeva da qui a lì, e i due bambini avanzarono adagio tenendosi per mano: Francesca stringeva tanto forte quella del compagno che lui temette potesse rompersi, anche perché era molto fredda. Immaginò le dita che si staccavano con un cric e finivano tra i fili d'erba anch'essi intirizziti e fragili. Ma la mano lo faceva sentire protetto e unito al resto del mondo, e così non disse a Francesca di stringere di meno. Del mondo lasciato non vedevano più niente: le grandi ombre laggiù erano la chiesa e le case, oppure colline o enormi animali addormentati. Nell'aria di latte non esistevano più la storia e la geografia. -Credo proprio sia il posto adatto per ritrovare il venerdì che ti manca - disse Francesca. - Però dovremmo chiedere a qualcuno. Passò un'ombra che somigliava a una donna in bicicletta, ma era troppo veloce, e anche troppo scura per appartenere al Paese della Fumana: doveva essere una turista come loro. Finalmente incontrarono un abitante di questo paese. Se ne stava impigliato a un grosso cespuglio di agrifoglio e somigliava a un batuffolone di ovatta, solo che era inconsistente come una nuvola. - Non sarà soltanto una nuvola impigliata nello spinoso agrifoglio perché volava troppo bassa? - domandò la bambina. - Oppure uno straccio di nebbia - aggiunse il bambino. Il batuffolone sembrava avere una testa, e al centro della testa due occhi bianchi, un naso bianco a patata, e una bocca incolore che disse: - Si può sapere cosa volete da me? Contenti di avere incontrato un vero abitante del Paese della Fumana, e per giunta parlante, risposero: - Cerchiamo il venerdì che mi manca.
- Siamo venuti qui per ritrovare il venerdì del mio amico. Avevano parlato contemporaneamente, e il batuffolone di nebbia disse: - Ho capito una sola parola: venerdì. Fate pari o dispari per vedere chi parla per primo. Ubbidirono, e come al solito vinse Francesca, rafforzando nel suo amico la convinzione che barasse: metteva fuori le dita un istante dopo di lui, facilitata anche dal fatto che lei a scuola andava bene in aritmetica. Francesca ripeté alla creatura di nebbia cosa erano venuti a fare, e raccontò che la gente guardava in uno strano modo i bambini senza un venerdì, e forse anche gli adulti senza un venerdì. Francesca aveva paura che rinchiudessero il suo amico in un posto dove tengono tutta la gente senza dei venerdì, ma non lo disse per non spaventare il bambino. Intanto il batuffolone di fumana seguitava a ripetere. - Sì, sì, sì - e assentiva oscillando su e giù la testa. Quando Francesca finì di parlare, disse: - No. Allargò le braccia, tanto che l'intero corpo divenne trasparente senza però cambiare molto perché alle spalle aveva altra nebbia, e aggiunse: - Nel Paese della Fumana non troverai il venerdì perduto. Provate a cercarlo nella Selva Tagliata. Qui da noi è tutto così annebbiato che non si distinguono i contorni delle cose, non esistono colori diversi dal bianco, e non si sentono i passi della gente e dei giorni. Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, e anche venerdì, come sabato e domenica, sono soltanto parole. Siamo troppo provvisori per metterci a misurare il tempo. Purtroppo a noi basta un alito di vento per farçi spa... - Spa? Ma il batuffolone non poté finire la parola perché intanto era sparito, e con lui tutto il suo paese. Francesca e il bambino si ritrovarono nel prato, tra la chiesa di San Francesco e le case, nel loro paese di sempre. Una brezza appena percettibile aveva trasportato la nebbia chissà dove. Raggiungere la Selva Tagliata sembrava impossibile nella pianura dove l'uomo non aveva lasciato neppure una piccola foresta, un boschetto o una macchia d'alberi che non fossero quelli dei pioppeti e dei frutteti con piante bene allineate e sull'attenti come soldatini potati e tosati, tanto che gli uccelli neppure osavano farci il nido.
Infatti ogni persona alla quale Francesca e il bambino si rivolgevano, senza neppure ascoltare bene la domanda subito rispondeva: - Non esistono foreste qui da noi! Finalmente un uomo anziano si ricordò: - Un piccolo bosco ci sarebbe, a pensarci bene. È a Sant'Agostino, dentro la golena dove il fiume fa una curva. Siccome non ci si possono costruire case e strade, e ogni tanto il Reno allaga i terreni, gli alberi sono cresciuti selvatici sino a formare una selva, come dice la parola stessa. - Che sia la Selva Tagliata? - domandò Francesca. - Il Bosco di Sant'Agostino è l'unica selva a non essere tagliata osservò l'uomo. - Se no, non esisterebbe. - Mi sembra giusto. - Ovunque noi mettiamo i piedi camminiamo in una selva tagliata - proseguì l'uomo. - Un tempo l'intera pianura era ricoperta di foreste, dove vivevano cervi, cinghiali e perfino lupi e orsi e forse anche animali dei quali abbiamo dimenticato il nome e per comodità chiamiamo draghi. Quando avevo la vostra età, adesso che ricordo, esisteva anche il Bosco della Saliceta, dalle parti di Medolla, ma l'hanno tagliato subito dopo la guerra. Che sia la Selva Tagliata che cercate? In bicicletta andarono a Medolla e a forza di domandare riuscirono a trovare il Bosco, ridotto a un solo albero, e per giunta secco: un gigantesco olmo che il gelo, la pioggia e le formiche stavano sbriciolando adagio. Francesca e il bambino si guardarono attorno sconsolati: - Non è rimasto neppure l'odore del bosco. - Neppure l'ombra. - Neppure il colore. - Neppure uno dei suoi abitanti - concluse Francesca. - Questo non è vero! - esclamò una voce. Guardarono in su, guardarono a destra, guardarono a sinistra, senza vedere nessuno. - Sono qui - disse ancora la voce. Abbassarono gli occhi e finalmente videro colui che aveva parlato ad alta voce e con un robusto timbro. L'omarino non era né alto, né robusto.
Uscito da una grossa crepa alla base dell'olmo disseccato, guardava in su, verso le facce dei bambini. - Un nano! - Non sono un nano - si affrettò a dire l'omarino. Mostrò i pugni con fare minaccioso, che subito però addolcì con un sorriso e una domanda: - Sapete dirmi cos'è un nano? - Un uomo molto piccolo. - Esatto. Però io non sono un uomo, sono un salvano, e vi assicuro che, tra i salvani, figuro di altezza superiore alla media. Peccato non esistano più altri salvani da queste parti, tutti emigrati per l'impossibilità di trovare casa. Dovete sapere che noi abitiamo soltanto dentro grossi alberi... Prima che il salvano tornasse a sparire oltre la sua porta di casa, alta non più di un paio di spanne, Francesca si affrettò a domandargli se sapeva dove avrebbero potuto ritrovare un venerdì perduto. Il salvano ci pensò a lungo. Tolse il berretto di panno rosso, si grattò la testa maculata da ciuffetti di capelli rossi, rimise in testa il berretto che intanto era diventato blu. Francesca stava per domandargli come aveva fatto a cambiare colore, e se adesso anche i capelli erano blu, quando l'omarino si decise a rispondere: - Sono tanti i paesi dove potreste cercare, a cominciare da quel Paese, che confina a nord con la Città dei Semi, a sud con il Paese di Putìn Brisanà, a ovest con il Mar Tedì e a est non ricordo più, forse con la Svizzera. Chissà dov'è il venerdì che cercate! Prima di avere visitato tutti i paesi, farete in tempo a diventare vecchi come il Cucco. Delusi, Francesca e il suo amico salutarono il salvano che rispose togliendosi il berretto, ora verde come i radi ciuffetti che gli ornavano la testa. In paese, i due ragazzi passarono davanti al Municipio e a Francesca venne un'idea. Frenò di colpo, e il suo amico, che pedalava dietro, per poco non le venne addosso. - L'ufficio oggetti smarriti - esclamò Francesca. - Che roba è? - Un posto dove la gente porta la roba che trova in giro. Se hai perduto un oggetto ti presenti in questo ufficio e chiedi se è stato ritrovato. Dovevo pensarci subito. Il vigile urbano di guardia all'entrata del Municipio aveva i capelli rossi, forse parente del salvano, anche se era alto quasi due metri. Infatti si grattò la testa nel rispondere: - Una volta esisteva un ufficio oggetti smarriti, ma io non ne sento più parlare da molto tempo. Devono averlo trasferito nel seminterrato, tra l'archivio e il magazzino delle vecchie targhe stradali. Provate a cercarlo. Indicò loro il percorso: in fondo all'atrio, porticina a destra, giù per due rampe di scale, dopo l'intero corridoio, facendo attenzione alle ragnatele in alto e alle mattonelle sconnesse in basso, fino alle tre porte laggiù in fondo. Una delle tre, forse, era l'ufficio oggetti smarriti. Arrivarono a destinazione senza sporcarsi con le ragnatele che qua e là pendevano dal soffitto del sotterraneo del Municipio, e senza inciampare.
Una lampadina minuscola illuminava tenuamente il corridoio, di sicuro senza disturbare i topi che dormivano. Due delle porte erano chiuse con grossi lucchetti arrugginiti, la terza si aprì da sola. Appena entrati furono accolti da tanta luce, forte quasi quanto quella del sole, e dal cordiale "Buongiorno" di una signora bionda, vestita con un grembiule azzurro. Se ne stava oltre un lungo tavolo e alle sue spalle lo stanzone sotterraneo era pieno zeppo di oggetti piccoli e grandi sistemati in scaffali di legno. Alcuni erano nascosti da teli o fogli di carta, altri erano visibili e riconoscibili: cappelli, borse, libri, fazzoletti a mucchi, portafogli probabilmente vuoti, giocattoli... - È questo l'ufficio oggetti smarriti? - domandò Francesca. - Sicuro - rispose la donna. Sembrava contentissima di vederli; forse erano i primi a scendere qui dopo molti anni. Francesca indicò gli scaffali alle spalle della donna: - La gente perde tanta roba? - Di più. Molti oggetti neppure ci stanno nello stanzone. E nessuno viene a reclamarli. Più comodo comprarne di nuovi. Oppure la gente non sente più la necessità che esistano. Anche questo è un oggetto smarrito. Siccome la donna non indicava niente di preciso, Francesca domandò: - Questo cosa? - Questo ufficio oggetti smarriti è uno degli oggetti smarriti. Uno dei tanti. Oltre alle piccole cose che vedete, sotto i teli o incartati perché la polvere non li faccia apparire troppo vecchi, ci sono scatole, vasi e bottiglioni pieni di tradizioni dimenticate e di virtù smarrite. - La donna si rivolse al bambino e gli domando: - Ti hanno mai raccontato una favola? - Sì - rispose lui. - Ne ho tutta una collezione registrata in cassetta, in ordine alfabetico, da Alice fino a Zero il somarello. - Lo immaginavo - disse la donna scuotendo la testa: ­Scommetto che in uno degli scatoloni laggiù c'è anche la voglia di raccontare favole dimenticata dai tuoi genitori. - Cos 'altro custodisci? - volle sapere Francesca.- Bottiglioni di piacere di stare insieme, vasi di amicizia, scatole e scatolette assortite di amore e rispetto per il prossimo... - Non avresti per caso il venerdì che manca al mio amico? La donna lo guardò stupita: - Ti manca un venerdì e vorresti ritrovarlo? - Sissignora. - Non puoi.
E non serve. I bambini che nascono senza un venerdì o lo perdono per strada, sono più fortunati degli altri, perché fanno parte della grande famiglia dei senza venerdì, come gli animali, le fate e gli angeli. - La donna si interruppe, avvicinò le labbra alla fronte del bambino, la baciò, e disse: - Vuoi saperlo? Anche a me manca un venerdì. Francesca, che l'aveva immaginato, intervenne: - Al posto del venerdì cosa avete? - Tante altre cose che non perderemo mai - rispose la donna. Non precisò quali, ma il bambino doveva saperlo. E in quel momento anche Francesca avrebbe voluto essere come loro. C'era una volta un bambino, felice senza un venerdì... Proviamo anche noi a perderne uno, uno solo, e impariamo a contare: lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, sabato e domenica.

Giuseppe Pederiali

Thursday, July 06, 2006